La Nostra Filosofia

Bibbiano appartiene ai fratelli Tommaso e Federico Marrocchesi Marzi. Nel Chianti Classico è tra le più antiche tenute appartenenti alla stessa famiglia.

La nostra filosofia si basa sulla responsabilità e sull’armonia. La responsabilità per quello che facciamo per la terra, per il terroir e per i vini, unici del loro genere; l’armonia è nel seguire la propria vocazione, nel rispettare la natura del territorio e le tradizioni della famiglia.

Condividiamo profondamente i principi e i metodi dell’agricoltura biologica: a Bibbiano – ormai dalla fine degli anni ’80 – sono sempre stati usati solo prodotti a basso impatto ambientale e fertilizzanti di origine organica perché il risultato più importante è l’armonia con la natura che deve essere trattata con particolare riguardo e cautela.

L’azienda vanta inoltre una lunga collaborazione con l’Università di Firenze: grazie ai loro studi sono stati individuati i terreni con le migliori caratteristiche del suolo, dell’esposizione e dell’indice di dislivello e sono in corso di registrazione i cloni delle viti storiche di Sangiovese Grosso. Così la natura ci dona il meglio.

Per la produzione dei nostri vini non utilizziamo uve delle varietà internazionali che tendono ad eliminarne l’individualità. In azienda si coltiva Sangiovese, uva autoctona della Toscana, e altre varietà tutte rigorosamente indigene.

Dal 1948 Bibbiano è socia del Consorzio Vino Chianti Classico che riunisce i produttori del territorio del Chianti Classico. Dal 1942 al 2004 la nostra famiglia ha collaborato strettamente con Giulio Gambelli, un grande enologo del ‘900 e profondo conoscitore dei vini toscani. Ci accompagna oggi nel nostro lavoro quotidiano, un enologo di profonda esperienza e cultura: Maurizio Castelli.

Abbiamo spesso immaginato di fare un viaggio a ritroso nel tempo e di osservare Bibbiano all’inizio dell‘avventura familiare nell’anno 1865. Da allora moltissime cose sono cambiate e l‘azienda ha subito tutti i mutamenti causati dall’avvento della tecnologia e dalla fine di un’agricoltura basata sulla “mezzadria”.

Alcune cose – però – sono rimaste immutate, ad esempio i boschi, i poderi, le strade ed i confini di Bibbiano sono gli stessi di quell’anno e la vite e l’olivo, insieme ai cereali, sono alla base della nostra economia oggi come allora. Alcuni elementi del passato sono sopravvissuti agli enormi cambiamenti avvenuti nell’ultimo secolo e sono giunti intatti a noi: questo patrimonio culturale e spirituale ci fa sentire più che mai impegnati nelle convinzioni che sono i principi del nostro lavoro quotidiano.

 

I nostri valori principali.

  1. Rispettiamo le leggi della natura.

Il rispetto della natura e la venerazione per la sua saggezza: questi sono i principali valori di Bibbiano. Vogliamo produrre i nostri vini seguendo solo le leggi della natura.

 

Il rispetto della natura ci permette di sfruttare le sue migliori opere.
La nostra terra e la nostra uva sono i migliori premi per il rispetto della natura e per la comprensione dei suoi meccanismi.

La lotta accanita per la quantità a scapito della qualità è ormai confinata nel passato.

Per noi l’approccio biologico non è la strategia del business ma la regola immutabile della nostra vita.

A Bibbiano crediamo che il successo può essere garantito solo dall’armonia con la natura: il suolo delle nostre vigne non ha mai conosciuto la chimica pesante, da decenni l’azienda applica solo metodi organici e, ormai da alcuni anni, oltre il 70% del nostro fabbisogno energetico è soddisfatto dalla produzione di un impianto fotovoltaico.

La famiglia vive su questa terra da più di 150 anni e la sua esperienza testimonia che “la natura non tollera la violenza nei suoi confronti ma è disposta a premiare in maniera generosa coloro che la trattano con profondo rispetto”. 

Uno di questi premi sono i cloni dell’uva, unici del loro genere, che si è riusciti a preservare dai vitigni originali dell’azienda grazie alla collaborazione con l’Università di Firenze. Una parte notevole del lavoro è stata già realizzata dalla stessa natura, l’uomo deve solamente trovare e preservare le sue migliori opere e a Bibbiano lo sanno fare.

 

  1. Esaltiamo il genius loci di Bibbiano.

Creeremo sempre e solo quel vino che porta in sé tutte le peculiarità della zona di Bibbiano e che fa nascere amore e ammirazione.

 

I vini di Bibbiano sono l’espressione organolettica dell’unicità del luogo dove sono nati.

L’intenso sviluppo della civiltà comporta spesso degli effetti collaterali. Probabilmente ognuno di noi si è accorto che esiste una produzione enologica mondiale che non esalta le diversità territoriali, ampelografiche e di stile.

Le tradizioni di Bibbiano non hanno niente a che fare con tale approccio: siamo assolutamente convinti che il nostro vino deve riflettere l’anima della tipicità geografica del luogo dov’è nato.

Da sempre i produttori del Chianti Classico coltivavano per lo più i vitigni autoctoni, in primo luogo Sangiovese, senza dimenticare Colorino, Malvasia Nera, Canaiolo e altre varietà iconiche di queste terre ottenute con incroci naturali. A seguito di un lungo processo evolutivo questi vitigni sono diventati parte dell’ecosistema locale dal momento che la stessa natura ha pensato alla loro selezione.

Bibbiano è un territorio di autenticità dove non solo si rispettano gli standard secolari di qualità dell’uva, ma si utilizza esclusivamente i metodi di vinificazione tipici del Chianti Classico. Ormai gli enologi dell’azienda hanno abbandonato quelle poche pratiche non tradizionali per la zona, ad esempio avendo da tempo rinunciato all’elevazione del vino in barriques.

  1. Rispettiamo i valori familiari.

Facciamo il vino come lo facevano i nostri antenati a partire dall’Ottocento, come lo faceva Pier Tommaso Marzi a fianco di un eminente enologo, un grande toscano: Giulio Gambelli.

 

Le tradizioni familiari, tramandate da padre in figlio, hanno fatto sì che il vino di Bibbiano sia diventato un patrimonio culturale.

I valori umani permettono di costruire campagne promozionali di successo ma molto spesso i discorsi sulle tradizioni risultano parole vuote: i noti marchi sono da tempo acquisiti dalle multinazionali, mentre nel processo produttivo sono introdotte moderne tecnologie. La storia di Bibbiano non fa parte di questo scenario.

La famiglia possiede l’azienda dal 21 marzo 1865. È tra le più antiche proprietà del Chianti Classico senese gestite nella loro lunga storia dallo stesso ceppo familiare: non sono molte le famiglie del territorio che battono questo record.

Le tradizioni vinicole di Bibbiano si sono tramandate da generazione in generazione. Il rispetto degli antenati, così tipico degli italiani, e l’amore profondo per i figli hanno permesso di ottenere il risultato più importante: oggi a Bibbiano si produce il vino come molti decenni fa.

Tommaso e Federico Marrocchesi Marzi sono a tutti gli effetti eredi diretti di Pier Tommaso Marzi che sperimentava le diverse tecnologie di vinificazione in collaborazione con Giulio Gambelli. Il vino di Bibbiano potrebbe essere chiamato senza esagerazione un patrimonio culturale da preservare. E questo è uno dei compiti dell’attuale generazione.

 

L’Azienda 

Bibbiano è situato nel territorio storico del Chianti, nel comune di Castellina in Chianti, e si affaccia sulla Val d’Elsa in direzione del castello di Monteriggioni, in una zona ove la coltivazione della vite ebbe origini etrusche e, poi, tardo-latine.

Sul filo di questo incommensurabile patrimonio naturale ed umano, dal 1865 la nostra famiglia ha continuato con passione la coltivazione delle vigne e degli olivi rendendola viva, attuale e moderna grazie ad una tradizione imprenditoriale che, tramandata da padre in figlio, è oggi giunta alla quinta generazione impersonata da Tommaso e Federico Marrocchesi Marzi.

Circondati da ampi oliveti di più di tremila piante, i vigneti di Bibbiano si estendono per una superficie complessiva di circa 30 ettari tra i 270 ed i 310 metri di altitudine, disposti su declivi collinari che godono di un’invidiabile esposizione e di un ottimo microclima, caratterizzati da sedimenti argillosi di formazione pliocenica, più o meno compositi e ricchi di roccia alberese.

I vigneti sono costituiti da impianti di uve rosse di Sangiovese Grosso e di Sangiovese, da vitigni di Canaiolo, Malvasia Nera, Ciliegiolo e di Colorino, nonché Trebbiano, Grechetto e Malvasia del Chianti, posti sui due versanti che caratterizzano Bibbiano e che ne marcano le differenti caratteristiche organolettiche.

Il nostro approccio è volto a produrre vini di alta qualità, in virtù di una decisa scelta tendente a esaltare il genius loci di Bibbiano, ovvero l’anima della tipicità geografica e dell’eredità umana del luogo, generando vini equilibrati, eleganti e di bella personalità, talvolta anche potenti e dai timbri molto netti.

Con una attenta selezione dell’uva durante la vendemmia, tuttora svolta manualmente, e vinificando separatamente i singoli cru dei diversi versanti, ogni anno diamo espressione naturale al nostro terroir ed alle sue peculiarità, alle sue risorse ampelografiche e viticole, rispettando i nostri desideri di equilibrio tra la modernità, la tradizione e la storia di questo luogo.

 

La proprietà

Tommaso Marrocchesi Marzi

Classe 1966, studi classici e laurea in economia e commercio, esperienza di management internazionale, è responsabile della gestione aziendale dal 2000.

È consigliere di amministrazione del Consorzio Vino Chianti Classico per i mandati 2012-2021, incarico già svolto dal 2006 al 2009, e ricopre le cariche di presidente del Distretto Rurale del Chianti e di vice presidente della Fondazione per la Tutela del Territorio del Chianti Classico che ha promosso la candidatura a Patrimonio UNESCO della regione della denominazione.

Insieme a suo fratello Federico, rappresenta la quinta generazione della proprietà familiare.

 

Federico Marrocchesi Marzi

Classe 1969, laurea e master in economia e commercio, Federico è il più giovane dei fratelli ed é impegnato nella gestione aziendale dal 2005.

 

La Storia

Prima bisogna spendere qualche parola sull’uva senza la quale Bibbiano sarebbe solo uno dei toponimi toscani.

L’uva di Sangiovese è una leggenda, una poesia della tradizione vinicola italiana.

Assomiglia un po’ al brutto anatroccolo della fiaba di Andersen: pur con una storia antichissima, solo negli ultimi cinquanta anni ha completamente dimostrato il suo potenziale e conquistato il mondo, in particolare i cuori dei veri intenditori e degli appassionati dei vini toscani e della denominazione del Chianti Classico.

La storia del Sangiovese si perde nei crepuscoli della storia. La coltivazione di questo vitigno ebbe origini etrusche e, poi, tramite i Romani, la tradizione passò agli abitanti della Toscana. Il nome stesso sembra provenire da Sanguis Jovis e si traduce in Sangue di Giove. Oggi è difficile affermare se sia vero o meno ma senza dubbio si tratta di una varietà molto antica e radicata in Toscana.

L’antichità non è un difetto ma un motivo di cui essere fieri.

La regione del Chianti è il cuore della Toscana, il cuore dell’Italia, che ricorda i primi insediamenti umani, poi gli Etruschi e gli antichi Romani. Per possedere queste terre, che costituiscono una zona naturale e culturale unica del genere, combattevano tra di loro famiglie nobili e stati potenti. Ma molto tempo prima che sul territorio toscano cominciassero le lotte politiche, qui cominciarono a coltivare l’uva e a fare il vino.

Si ritiene che il nome Chianti abbia origini etrusche, che vuole dire non meno di duemila anni, mentre il toponimo Bibbiano dimostra radici tardo-romane e risale al 200 d.C., quindi ha 1800 anni. Sempre in questo periodo venne creata la prima mappa topografica di Roma capitale dell’Impero Romano, sebbene agli inizi della sua crisi.

La prima menzione affidabile di Bibbiano risale al XI secolo. Si tratta di un atto su pergamena, datato 1089 ed attestante che Donna Mingarda di Morando donava a Giovanni di Benzo la “curte” e il “castello de Bibiune, cum ecclesia, cum casis, (…) viteis (…)”, ovvero l’azienda ed il castello di Bibbiano con la chiesa, i poderi e i vigneti.

Gli storici sostengono che il vero sviluppo delle aziende vinicole nella zona del Chianti, situata tra Firenze e Siena, abbia avuto inizio nel XII secolo. Però il primo documento, in cui viene menzionata la nostra azienda e che viene conservato con cura nell’abbazia di Passignano, conferma con evidenza che le radici della tradizione risalgono a tempi ancor più antichi.

L’azienda di Bibbiano resta una delle più antiche della regione del Chianti rivestendo i suoi proprietari una seria responsabilità etica. Che ci rende orgogliosi non solo della storia secolare ma anche delle profonde radici del nostro vino. Non molti nella denominazione del Chianti Classico (ma in generale, anche in Toscana, in Italia e in tutta Europa) possono affermare che proprio qui, in questo terroir unico del genere, senza interruzioni, senza cambiare le varietà si produce il vino da quasi duemila anni.

I monaci sono bravi a gestire l’azienda ma solo nel caso in cui la trattino come una propria creatura e non come una fonte di guadagno immediato.

Il turbolente Cinquecento, che sconvolse il mondo europeo, lasciò le sue tracce nella storia dell’azienda. Nel 1498 Bibbiano è contemplato nel catasto della Decima Repubblicana sotto la proprietà di Matteo di Piero di Francesco Squarcialupi. Vi si citano quattro poderi “chon casa da lavoratore, chon terre lavorative, vignate, ulivate, boschate e sode”, ovvero poderi, terreni, vigneti, oliveti, foreste e prati. Gli Squarcialupi, che avevano possedimenti importanti, erano molto potenti e le loro proprietà si estendevano dal Casentino alla Val d’Elsa.  Però una famiglia ricca del Tardo Rinascimento doveva pensare non solo alla crescita del proprio patrimonio ma anche a obiettivi più elevati: la salvezza delle proprie anime. Sarà stato per questo motivo che nel 1500, secondo il testamento del defunto Matteo Squarcialupi i poderi di Bibbiano passarono al cattolico e fiorentino Ospedale di Santa Maria Nuova. Grazie a questo gesto generoso l’Ospedale aveva modo di finanziarsi per la sua attività istituzionale di cura dei malati, mentre il donatore – con questo atto pio – poteva aspirare al Regno dei Cieli.

L’Ospedale ricevette la proprietà di Bibbiano con gratitudine e lo gestirà premurosamente per più di 250 anni conservando le tradizioni vinicole dell’azienda. Fu anche la fortuna di Bibbiano: in quei tempi appartenere alla Chiesa permetteva di rimanere fuori dalle perturbazioni politiche evitando le intrusioni della concorrenza violenta e, a volte, sanguinosa, tra le due potenti città di Firenze e Siena. Chissà come sarebbero cambiati i metodi di coltivazione dell’uva e se sarebbe rimasta la stessa azienda se Matteo Squarcialupi avesse trasferito la sua proprietà non all’Ospedale ma ai propri eredi diretti.

Una descrizione molto dettagliata di Bibbiano e del suo vicino podere minore, detto Bibbianuzzo, si trova appunto nei Campioni dei Beni di Santa Maria Nuova del 1564. Tali Campioni altro non erano se non l’inventario dei beni di proprietà dell’Ospedale. La descrizione contiene una rappresentazione precisa di tutti i terreni e delle loro produzioni, dalla vite all’ulivo, dalle semenze alle piante da frutto ed al bestiame, inclusi polli e conigli.

I monaci erano veramente bravi agricoltori. Il cabreo, che oggi si conserva nell’Archivio di Stato di Firenze, comprende anche una schematica planimetria dei due poderi. Una descrizione simile, ma più aggiornata, risale al 1607 ed è contenuta nel documento detto Visita Generale dei Beni dell’Ospedale. Con questo atto l’Ospedale re-inventariava i propri beni dando una precisa descrizione delle pratiche agrarie, dei prodotti, dei capi di bestiame, dei mezzadri e delle loro famiglie. Nel frattempo l’azienda operava in maniera stabile e solida mantenendo sempre alta la qualità del vino fatto con il Sangiovese. Come succede spesso, con la stabilità vengono in mente le idee condizionate dalle tendenze del momento e queste trascinano i gestori a passi avventati.

Arrivavano i Tempi Nuovi con il loro culto del denaro immediato che prevaleva sopra le tradizioni. L’Ospedale decise di “entrare nelle nuove acque” e di imboccare una via che avrebbe dovuto portare maggiori guadagni. Non si sa chi fu dell’Ospedale di Santa Maria Nuova e in quale momento a decidere di cambiare tutto, ma il fatto sta che l’Ospedale non trovò più conveniente gestire direttamente le proprietà terriere e procedette al loro affitto, ricevendone il pagamento di una rendita. Questo tipo di contratto aveva il nome di allivellamento ed era molto diffuso in tutta la Toscana Granducale. Si trattò di una vera e propria privatizzazione dato che, dopo un certo periodo di anni, l’affittuario (di solito un proprietario terriero limitrofo) poteva riscattarne la proprietà con il pagamento di una somma residua, quasi fosse stato un leasing.

Così la voglia di prendere tutto e subito immediatamente ebbe la meglio e Bibbiano cominciò ad essere visto principalmente come una mera fonte di rendita.

Bibbiano fu allivellata dal 1767 al 1780 che non sembra un periodo lungo dal punto di vista storico ma le conseguenze furono gravi: i redditi diminuirono, l’Ospedale dovette vendere i poderi ed iniziò il susseguirsi dei proprietari. Dal 1780 al 1833 appartennero alla famiglia Landi, di cui il primo era Iacobo. Nel luglio 1833 suo figlio Michele Landi vendette la proprietà di Bibbiano a don Tommaso di Bartolomeo dei principi Corsini che non intendeva occuparsi dello sviluppo delle proprietà perché si dedicò completamente alla carriera diplomatica e agli affari di Stato. Fu lui a partecipare come rappresentante ufficiale del Granducato di Toscana al famoso Congresso di Vienna del 1815 e morì occupando la carica di Primo Ministro del Granduca. Infine, nel marzo 1865 un altro don Tommaso Corsini, il figlio di Neri, vendette Bibbiano ai fratelli Casimiro, un avvocato, e Pietro Marzi, un ingegnere, progenitori degli attuali proprietari. E allora apparve un briciolo di speranza per recuperare le tradizioni vinicole di Bibbiano dal momento che i fratelli consideravano il podere non tanto come un semplice cespite redditizio quanto come un patrimonio familiare e culturale.

La nostra famiglia alla guida dell’azienda. Una famiglia di proprietari responsabili e appassionati nel periodo delle guerre mondiali.

La nuova epoca nella vita di Bibbiano iniziò con la gioia accompagnata dall’appassionata e ponderata attività dei nuovi proprietari che gradualmente ma in meno di 50 anni, prima che finisse la Prima Guerra Mondiale, rimisero in ordine ed ampliarono i poderi e l’azienda. Nel 1880, alla proprietà di Bibbiano, Antonio Marzi, figlio di Pietro, aggiunse quella di Gagliano con gli altri poderi di Gaglianuzzo e Padule. Per fortuna le tempeste della Prima Guerra Mondiale non toccarono Bibbiano e la famiglia Marzi. Nel frattempo venivano piantati nuovi vitigni, ampliati gli oliveti e costruite nuove strutture. Il vino di Bibbiano era venduto in tutta Italia e ebbe successo in altri Paesi europei. Nel 1919 la famiglia decise e realizzò la costruzione della villa padronale. Come scriveva Antonio Marzi, “la felicità umana consiste proprio nel ripristinare le tradizioni, conservarle con cura e tramandarle alle future generazioni. E nessun altro piacere momentaneo è paragonabile a questo”.

Purtroppo la pace conclusa nel 1918 risultò, come diceva il maresciallo francese Foch, non una pace ma una tregua di venti anni. La nuova guerra mondiale stavolta non risparmiò né il cuore dell’Italia, né la Toscana, né la regione del Chianti. Nell’estate 1944, durante il passaggio del fronte di guerra, proprio a Bibbiano si collocava una piccola unità di paracadutisti tedeschi la cui resistenza all’avanzare delle truppe francesi e neozelandesi recò notevole danno a tutta l’azienda. Solo per miracolo e grazie agli sforzi dei contadini furono salvate le scorte e le vigne anche se quasi tutte le costruzioni furono colpite e gravemente danneggiate così come altre strutture importanti come l’acquedotto. In una sola estate l’azienda tornò a presentare condizioni peggiori di quanto lo era nell’Ottocento quando i fratelli Casimiro e Petro Marzi l’avevano acquistata. Però si riuscì a salvare il cuore, l’essenza di Bibbiano: i suoi vitigni e la sua terra. Ciò diede forza a Pier Tommaso Marzi, figlio e erede di Antonio: le difficoltà del dopoguerra, la mancanza delle risorse necessarie non lo scoraggiarono nei suoi piani di ricostruire e dare una nuova vita a Bibbiano.

La nuova vita e il sostegno del grande enologo toscano Giulio Gambelli.

Nel 1948 l’azienda si associò al Consorzio del Vino Chianti Classico che riunisce i produttori del territorio. Tra il 1950 e il 1970 Pier Tommaso Marzi e suo genero Alfredo Marrocchesi, ingegnere, dettero inizio, con l’aiuto di Giulio Gambelli, ad una profonda ristrutturazione che si concluse con la realizzazione di una ampia cantina, l’impianto di 20 ettari di vigneto specializzato, oltre 10 ettari di oliveto, nonché la totale modernizzazione delle attrezzature. Pier Tommaso e Alfredo erano responsabili della direzione del processo, ma non solo: trascorrevano molto tempo insieme agli operai per verificarne il lavoro, passavano le notti in bianco per disegnare i progetti delle costruzioni e, parallelamente, discutevano con Giulio Gambelli dei nuovi impianti, dei metodi di invecchiamento, dello stile e del bouquet del vino, mantenevano rapporti con l’Università di Firenze, si scambiavano impressioni ed esperienze con gli amici proprietari delle altre aziende vinicole del Chianti Classico. In pratica in questo ventennio si gettarono le solide basi dell’attuale prosperità di Bibbiano.

Attualmente l’azienda è gestita dalla quinta generazione della famiglia. Avendo un’ottima formazione professionale e esperienza di management internazionale, Tommaso e Federico cercano di rispettare l’equilibrio tra la modernità e le tradizioni vinicole millenarie senza recare un minimo danno all’autenticità del vino di Bibbiano e ai metodi della sua produzione. Se doveste venire a visitare l’azienda in autunno dopo la raccolta, potreste facilmente incontrarli mentre sovrintendono i lavori di manutenzione dei vigneti.

 

Giulio Gambelli

Un monumento dell’enologia italiana, che è stato – e sarà ricordato – non solo come un vero professionista, ma anche e soprattutto come un importante testimone del novecento vitivinicolo dove la testimonianza storica che ha reso nel corso di sessantasei vendemmie sono il suo stile e i suoi vini.

Vini fatti di passione e professionalità: queste le due parole chiave che hanno segnato il rapporto di Giulio Gambelli con il Chianti Classico. Una passione nata da ragazzo e una professionalità cresciuta con il passare degli anni dando vita a vini eleganti e sobri, naturale espressione del nostro territorio e quindi profondamente toscani come il loro artefice. A quattordici anni il giovane Giulio Gambelli comincia a frequentare l’Enopolio di Poggibonsi, il paese dove è nato, dove ha modo di sviluppare il suo palato dietro la guida del direttore di quell’istituto, Tancredi Biondi Santi.

Giulio Gambelli usa i suoi fini sensi per comprendere il carattere del vino, la sua qualità e il suo sviluppo. Così, ben presto i viticultori toscani comprendono le potenzialità del giovane assaggiatore e ne richiedono la collaborazione. Primo in assoluto, Pier Tommaso Marzi che lo introduce a Bibbiano nel novembre 1942 e insieme affrontano dai primi anni ’50 il rinnovamento dei vigneti e della cantina, fino al primo imbottigliamento – con etichetta propria – della vendemmia 1969 sotto l’egida di Alfredo Marrocchesi, padre degli attuali proprietari.

E poi tante altre importanti collaborazioni con famose cantine, tanti riconoscimenti dalle istituzioni e dalla stampa del settore, vendemmia dopo vendemmia finché grazie ai suoi meriti – a lui che è privo del titolo accademico di enologo – il mondo del vino gli attribuisce il titolo di “maestro assaggiatore”.

Recentemente l’Editore Veronelli gli ha dedicato una attenta e sensibile biografia, scritta dall’amico giornalista Carlo Macchi, seguita da una seconda edizione dell’Editore Giunti Slow Food.

Giulio Gambelli, ultima farfalla del Sangiovese, è scomparso nella natia Poggibonsi il 3 gennaio 2012.

 

L’Agriturismo

Che sia in una grande casa colonica in pietra, oppure nella dépendance della villa padronale o nel podere di epoca carolingia, il più antico della nostra tenuta, la nostra ospitalità agrituristica gode di splendidi panorami sui vigneti della proprietà, di piscine collocate in soleggiati spazi esterni, di ambienti interni ampi e luminosi, arredati con mobili d’epoca e garantiscono ai nostri ospiti un elevato livello di privacy e comfort.

Per prenotazioni vedi www.posarellivillas.it.

 

La Wine Experience

L’esperienza di un wine tasting tra i vigneti da cui hanno originato i vini, alla presenza della proprietà, la degustazione di annate storiche, con il contorno dei cibi genuini e tradizionali del territorio, rigorosamente fatti in casa e serviti nella villa padronale o nella cantina, sono alcuni degli episodi emozionali che la nostra azienda è in grado di offrire e che resteranno per sempre impressi nella memoria di chi li ha vissuti.

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